Memorie Scacchistiche

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In memoria dei miei genitori

 

Prefazione

La memoria non è mai stata il mio punto forte, ma doveva essere il 1999 quando, al mitico torneo di Castellaneta, vidi per la prima volta il Maestro Indelicati all’opera. Nelle sue autorevoli fattezze e col suo modo deciso di animare i pezzi sulla scacchiera, incarnava a pieno quello che, nel mio immaginario da neofita, rappresentava l’emblema del Maestro di Scacchi.

L’approfondire la sua conoscenza negli anni successivi e, negli ultimi anni, il tramutarsi di questa conoscenza in legame di stretta amicizia, non hanno fatto altro che consolidare la mia prima impressione. Vent’anni dopo, infatti, vedo ancora Pino con gli stessi occhi di ammirazione di allora.

Persona eclettica, mi ha sempre colpito non solo per il suo scintillante gioco d’attacco, ma anche per la sua profonda conoscenza della storia degli scacchi moderni. Un aneddoto al riguardo: un paio di anni or sono, nel tediarlo con le analisi di una mia partita giocata contro il MI Laketic, ad un certo punto mi interruppe dicendomi che avrei dovuto studiare una “Gelfand - Ilescas del 1996” per capirne qualcosa in più di quella particolare struttura pedonale. Vi lascio immaginare la mia sorpresa quando, una volta recuperate le mosse di quella sconosciuta (per me!) partita giocata più di 20 anni fa, mi imbattei nella stessa identica struttura pedonale della mia partita.

Ecco, questo è Pino: un vero Maestro, ovvero una persona capace di mettere a disposizione le sue conoscenze per indirizzarti e farti crescere.

È dunque una grande fortuna che il Maestro Indelicati abbia deciso di ripercorrere, in poche tappe, il suo appassionante percorso di vita scacchistica. Sono convinto che ognuno di noi, nel leggere le sue “memorie scacchistiche”, avrà la possibilità di trovare spunti di riflessione per l’arricchimento del proprio percorso di crescita.

Buona lettura



Alessandro Granaldi

 

Difficoltà tecniche

Il primo ottobre 1972 era una domenica e il giorno dopo avrei cominciato a frequentare il liceo (i bei tempi in cui la scuola iniziava il primo ottobre!), ma quella mattina l’emozione era tutta dovuta al fatto che per la prima volta avrei messo piede in un circolo di scacchi, nella mitica sede di via Falanto. Inutile dire che per me, men che quattordicenne, tutti quei signori adulti vestiti in maniera impeccabile sembravano giocatori inarrivabili e mi sembrò quindi naturale mettermi a giocare, su esortazione di qualcuno di loro, con un altro ragazzo (di qualche anno più grande di me), anche lui per la prima volta presente lì.

Con mia sorpresa e soddisfazione la partita prese una piega a me favorevole e arrivammo a un finale in cui io avevo la torre e tre pedoni uniti contro la sua torre, che ovviamente avrei dovuto vincere. Già, ovviamente... in realtà mi misi a spingere sconsideratamente i pedoni e, a uno a uno, li persi tutti, arrivando a una posizione pari. Un’utilissima lezione sull’importanza della tecnica e la prima delle tante occasioni in cui verificai la correttezza del motto: “La cosa più difficile è vincere una posizione vinta”, ben noto a tutti gli scacchisti.

Il nome del mio avversario? Probabilmente gli amici scacchisti l’avranno già capito. Sì, proprio lui, Gerardo (Dino) Ariete, e quella fu la prima del “milione” di partite che avremmo giocato.

 

 

Un vecchio scacchista

Le mattinate della domenica furono così dedicate alla frequenza del Circolo di scacchi, cosa che determinò, fra l’altro, il mio definitivo abbandono di ogni pratica religiosa, con grande dolore della mia povera mamma. La mia mente era ormai posseduta dalle 64 caselle e vivevo in attesa della domenica mattina, per poter tornare al Circolo, che si rivelò pieno di personaggi fantastici.

Giuseppe Indelicati vs Emilio Capitani
Giuseppe Indelicati vs Emilio Capitani

Fra i tanti, quello che mi colpì di più fu un vecchio signore che si comportava in tutto e per tutto da
leader, e infatti era uno dei giocatori più forti: Emilio Capitani. Era molto spiritoso e durante il gioco era solito apostrofare gli avversari con espressioni molto colorate (durante le partite amichevoli, non in torneo, naturalmente), non tutte qui riferibili. Non era tuttavia il giocatore più forte, c’era uno studente che lo superava, ma che ben presto smise di giocare, completamente assorbito dagli studi di medicina. Ma il signor Capitani (così lo chiamai fino alla fine) era immancabilmente presente e diventò per me un punto di riferimento; come tutti gli anziani, era evidentemente legato al passato e adorava Alexander Alekhine, campione del mondo quasi ininterrottamente dal 1927 (anno in cui sconfisse il leggendario José Raul Capablanca) al 1946 (anno della sua morte) e così mi introdusse allo studio delle sue partite.

A dire la verità, io ero un fan di Bobby Fischer (lo sono ancora!), che aveva appena vinto il titolo mondiale, e cercavo di capire i segreti degli scacchi rigiocando le sue partite, pur rendendomi conto dell’importanza dei Campioni del passato. In realtà, i miei mezzi tecnici erano molto modesti e spesso avevo solo una gran confusione in testa; infatti, malgrado un certo miglioramento, il mio livello di gioco rimase a lungo quello di un principiante. Oramai ero stato conquistato e gli scacchi occupavano stabilmente un posto nel mio cuore, cosa rimasta invariata fino a oggi, anche nei periodi in cui ho sospeso la partecipazione ai tornei.

Amara nota conclusiva: il vecchio scacchista ai tempi della foto aveva circa dieci anni meno di me che scrivo, ora.

 

 

Il Circolo di via Falanto

Via Falanto è una strada piuttosto breve che collega piazza Madonna delle Grazie con l’ingresso principale dell’Arsenale. I più precisi osserveranno - correttamente - che nell’ultimo tratto confluisce in via Cugini. Non credo che allora sapessi che Falanto fosse il mitico fondatore della città di Taranto, ma certo quel nome dal sapore greco contribuiva alla magia del posto. All’ingresso c’era una rampa di scale in salita che portava a un salone con tante sedie, la televisione e un bar. In fondo al salone c’era un’altra scala, questa volta verso il basso, che portava alla sala dove si giocava a scacchi, molto ampia e profonda. Credo che ci fossero delle piccole finestre al livello della strada, ma erano oscurate da pesanti tende, per cui era necessario utilizzare l’illuminazione artificiale.

É difficile descrivere cosa rappresentasse per me quel posto, soprattutto nei primi mesi in cui lo frequentai; oggi siamo abituati a giocare online contro sconosciuti e la pandemia ha reso questa modalità quasi l’unico sistema per giocare. Ricordo l’armadietto da cui venivano prelevati i pezzi (tutti in legno), le scacchiere erano parte integrante dei tavolini ma, dato che erano un po’ piccole, i primi arrivati potevano trovarne qualcuna più grande. Il Circolo non disponeva di orologi per misurare il tempo di riflessione (persino nei tornei si giocava senza orologi!) e se qualcuno voleva giocare lampo doveva portarselo da casa. Nel gioco lampo ciascun giocatore dispone di cinque minuti per l’intera partita; questa pratica era censurata dai giocatori più anziani perché spingeva a un gioco più superficiale (verissimo, ma era così divertente!).

Quando ero in quel posto la dimensione temporale per me smetteva semplicemente di esistere; visto che si andava lì la domenica mattina, a un certo punto arrivava l’ora di pranzo e andavano via tutti, me compreso. Una volta, però, non ricordo per quale motivo, si ritornò anche il pomeriggio e rimasi lì senza avere nessuna cognizione dell’orario. Il risultato fu che tornai a casa verso le dieci di sera! Se c’è qualche giovane che sta leggendo, riderà di quello che sto per dire, ma a casa trovai mia madre in lacrime e in preda alla disperazione e mio padre infuriato (immagino che mia madre lo stesse tormentando da almeno un paio d’ore): a quei tempi non era normale che un ragazzino di 14 anni tornasse a quell’ora.

Cominciai ad avere qualche problema con i miei genitori, la loro paura più grande era che trascurassi lo studio. Di mia madre ho già detto, anche mio padre era preoccupato («Ti stai fissando troppo» erano le sue parole), ma in fondo credo che fosse contento, dopo tutto era stato lui a insegnarmi a giocare.

 

 

Le origini

Nella casa di via Capecelatro dove ho abitato fino all’età di 30 anni (cioè fino al mio matrimonio) c’era una stanzetta subito dopo l’ingresso sulla destra. In famiglia era chiamata “lo studio”, ma si trattava in realtà di un ambiente multifunzionale in cui c’era fra l’altro un mobile-divano letto dove dormivo, mi sembra dai dieci anni in poi. Era lì che, di tanto in tanto, mio padre riceveva alcuni amici per giocare a scacchi.

Ricordo benissimo la scacchiera, realizzata artigianalmente da un suo amico: una tavola di compensato dipinta a mano con un bordo nero e le caselle bianche e rosse, andata purtroppo perduta. I pezzi in legno di modello francese, erano stati regalati a mio padre da un ufficiale polacco alla fine della guerra; seppi in seguito che a San Basilio (nei pressi di Mottola, dove allora viveva la famiglia paterna) si erano accampati gli Alleati e fra loro c’era un reparto polacco di cui faceva parte quest’ufficiale con il quale mio padre aveva giocato alcune partite. Fortunatamente questi pezzi sono giunti fino a me.

Da bambino, completamente all’oscuro delle misteriosissime regole che determinavano il movimento dei pezzi, rimanevo affascinato dallo spettacolo di questi signori adulti che stavano lì seduti per tanto tempo a cercare la mossa giusta, ma la cosa che ricordo meglio era il fumo che usciva dalle narici di mio padre. A quell’epoca era infatti perfettamente naturale che si fumasse in presenza dei bambini e sarebbe stato semplicemente assurdo porsi il problema del fumo passivo, espressione allora sconosciuta.




















pezzi francesi

Non ricordo quando avvenne, ma a un certo punto mio padre mi insegnò le regole del gioco e cominciai così a giocare contro di lui, ma perdevo sistematicamente. Una sola volta riuscii a vincere, e la cosa fece scalpore in famiglia, ma restò un episodio isolato; probabilmente per questo seguì un calo di interesse da parte mia, fino a quando, nell’estate del ‘72, non successe qualcosa di straordinario: l’americano Bobby Fischer strappò il titolo mondiale al sovietico Boris Spassky e gli scacchi balzarono di colpo all’onore della cronaca. Il match fu descritto come un episodio della guerra fredda e non c’era giornale o telegiornale che non riservasse ampio spazio alle vicende di Reykjavík, tutti si misero a giocare a scacchi, addirittura ricordo che vidi persone giocare in spiaggia sotto gli ombrelloni. Fu per me quindi la cosa più naturale del mondo mettermi alla ricerca di un Circolo di scacchi.

Purtroppo, nel giro di pochissimo tempo, mio padre smise di giocare con i suoi amici, proprio in concomitanza con i miei progressi conseguenti alla frequenza del Circolo. Non riteneva che fosse il caso di impegnarsi troppo per un’attività di svago, opinione rispettabilissima e del tutto condivisibile, ma mi dispiacque sempre che questa fu la fine della sua attività scacchistica, senza averne mai capito il motivo. In famiglia non era di molte parole e non mi spiegò mai bene il perché, forse ritenne che il suo modo di giocare fosse troppo rudimentale e inadeguato rispetto a quello dei giocatori agonisti, ma se così fosse nessuno dovrebbe giocare o gareggiare in qualsiasi disciplina, visto che ci sarà sempre chi ci surclasserà.

Ma fu così che andò.

 

 

Un libro “memorabile”

Fra i soci del Circolo ce n’era uno che si chiamava Filippo Filippi, detto Gino, una delle persone più miti e gentili che abbia mai conosciuto. Era il titolare della storica “libreria Filippi” di Taranto, che aveva sede in piazza Immacolata - nel cuore della città - ma esisteva un’altra libreria, di un suo parente: Ulderico Filippi, in via Acclavio, nei pressi dell’Ospedale Vecchio.

Fu lì che andai per acquistare un “libro di scacchi” (furono queste le mie parole al momento della richiesta). Se fossi andato da Gino mi avrebbe certamente consigliato qualcosa di adatto a un principiante, ma il commesso che mi trovai di fronte pensò bene di darmi la hit del momento: 60 partite da ricordare (My sixty memorable games) del neo-campione del mondo Bobby Fischer. La mia impazienza di penetrare i segreti del gioco era tale che cominciai a divorare quel libro sin dalla strada del ritorno verso casa; fui subito colpito dalla raffigurazione dei pezzi nei diagrammi illustrativi, da frasi che leggevo qua e là, provenienti nientedimeno che dalla penna del Campione del mondo, dal nome dei suoi avversari, molti dei quali erano dei famosi campioni sovietici: Tal, Petrosjan, Spassky. 

Gli scacchisti capiranno che sicuramente quel libro non è da dare in mano a un principiante: lo stile di Fischer è molto asciutto, essenziale e anche straordinariamente obiettivo, ma non adatto a un ragazzino che muoveva i primi passi in quel fantastico mondo. Sono rimasti celebri i suoi “ecc.” alla fine di varianti indicative a voler sottintendere che il giudizio sulla posizione fosse ormai chiaro, mentre io cercavo goffamente di capire quali fossero le mosse indicate (negli scacchi si usa un sistema per identificare le caselle simile a quello della battaglia navale, detto “algebrico”).

Guardando però le cose retrospettivamente, credo che comprare quel libro in quel momento fu una fortuna; di certo non portò risultati pratici nell’immediato, ma ritornandoci, nel corso degli anni, c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire e persino quest’estate, nascosta in una noticina, ho trovato una valutazione su una variante d’apertura che avrei giocato decenni dopo; inutile dire che la valutazione si era rivelata perfetta! In altre parole, al di là del valore didattico, quel libro ha avuto un valore iniziatico e ha accompagnato tutte le mie vicende scacchistiche.

La libreria di Ulderico Filippi chiuse dopo qualche anno, la libreria di piazza Immacolata cambiò poi la sua sede e si trasferì in via Nitti ad angolo con corso Umberto. Purtroppo pochi anni fa chiuse i battenti e la mia città perse una delle sue librerie storiche.

 

 

I tornei di Bari

Nei primi anni ‘70 furono organizzati a Bari degli importanti tornei internazionali. Credo che l’organizzatore principale fosse l’ing. Prayer, da me mai conosciuto, ma che ho sentito nominare spesso dai giocatori baresi. Io partecipai alle edizioni del ‘73 e del ‘74, che si tennero tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, giocando entrambe le volte nel torneo di categoria inferiore. Si giocava al Circolo canottieri Barion, all’inizio del Lungomare e ricordo il penetrante odore del mare che ci faceva compagnia durante il gioco; ci sono passato recentemente, e la mia impressione è che tutto sia rimasto come lo ricordavo.

Furono quelle le esperienze agonistiche più importanti nei primi anni di attività; in particolare, nel ‘73 vidi per la prima volta un Grande Maestro in carne e ossa: l’ungherese Levente Lengyel e insieme a lui, nel torneo principale, giocavano i Maestri Internazionali Toth (che vinse il torneo) e Mariotti (fiorentino, allora il più forte giocatore italiano, un vero talento che l’anno dopo sarebbe diventato il primo Grande Maestro italiano) e tanti altri forti giocatori. I titoli di Grande Maestro e di Maestro Internazionale sono i massimi titoli che la FIDE (Fédération Internationale des Échecs) attribuisce ai giocatori sulla base dei risultati conseguiti nei tornei ufficiali. Il torneo principale era in realtà un Open in cui giocavano tutti i giocatori dalla categoria Seconda Nazionale in su, mentre in quello di terza classe giocavano quelli di categoria Terza Nazionale e gli esordienti come me. L’impatto con una competizione del genere fu fortissimo: molti dei miei avversari erano alla mia portata, ma la tensione mi giocò degli scherzi bruttissimi.

Dopo aver iniziato bene con due pareggi e due vittorie, al quinto turno feci un errore gravissimo che mi costò la donna (è così che gli scacchisti chiamano la regina) nelle prime mosse:

 

Indelicati-Occhipinti (Bari 1973) B60. Difesa siciliana

1. e4 c5 2. Cf3 Cc6 3. d4 cxd4 4. Cxd4 Cf6 5. Cc3 d6 6. Ag5 e5 7. Cb3 Ae7 8. Dd2 h6 9. Axf6 Axf6 10. 0-0-0?? Ag5 (diagramma) …e il Bianco abbandona (0-1)

 

Qui vorrei mettere in guardia i principianti. L’errore avvenne perché ero totalmente concentrato sull’attacco al pedone d6. Mi aspettavo infatti 10. … Ae7 cui avrei risposto con 11. Cb5 guadagnando il pedone (secondo me) e dimenticai completamente di controllare le risorse a disposizione dell’avversario. Molti errori sono generati proprio da questo, cioè dal disinteressarsi delle intenzioni dell’avversario. Dopo questa catastrofe persi altre due partite di seguito e dovetti fare un grande sforzo nei turni finali per raggiungere un magro 50%.

Malgrado lo smacco subito quell’esperienza fu importantissima per rompere il ghiaccio nelle competizioni più difficili e per iniziare a imparare ad assorbire le sconfitte nel tempo più breve possibile; la mia naturale impazienza e il mio carattere impulsivo non mi erano certo d’aiuto, ma capivo che per ottenere dei risultati la prima cosa da fare era imparare a controllare le emozioni. L’anno dopo le cose non andarono troppo diversamente: il mio livello di gioco era certamente migliorato, ma incorsi ancora in due sconfitte consecutive che mi impedirono il passaggio alla categoria superiore. Dopo due anni di pratica assidua non ero ancora riuscito a conquistare la categoria Terza Nazionale ma il “corso di base” era ormai completato e, cosa più importante, il mio interesse per il gioco era ancora altissimo. Purtroppo dopo il 1974 non furono più organizzati tornei di quell’importanza a Bari e per vedere qualcosa del genere in Puglia, a parte manifestazioni episodiche come una organizzata nel 1978 a Taranto dall’avv. Fiorino, si sarebbe dovuto aspettare i tornei del castello Carlo V di Lecce alla metà degli anni ‘80.

 

 

Un torneo all’anno

La fine dei tornei di Bari rappresentava un problema non da poco per le mie speranze di poter essere promosso nelle categorie superiori. Allora non c’erano tanti tornei, in quelli di circolo si potevano conseguire solo le categorie “Sociali” e durante l’anno scolastico era escluso potessi allontanarmi da casa, sia pure durante i periodi festivi di Natale o Pasqua (non mi passava nemmeno per la mente un’idea del genere). Se a questo si aggiunge che nella mia famiglia non c’era una grande disponibilità economica, si capisce come le mie ambizioni agonistiche si stessero smorzando, tanto più che, dopo la fiammata del ‘72, l’interesse per gli scacchi era in deciso riflusso. Fischer aveva deluso le aspettative dei suoi fans di tutto il mondo smettendo di giocare e nel ‘75 fu dichiarato decaduto dal titolo mondiale che passò nelle mani del nuovo astro sovietico, il 24enne Anatolj Karpov; molti di coloro che avevano affollato i circoli scacchistici alla fine del ‘72 avevano smesso di giocare. Il Circolo di Taranto si svuotò e rimanemmo solo in pochi a frequentarlo; anche i tornei sociali languivano.

Per fortuna, trovai un modo per riuscire a giocare almeno un torneo di promozione all’anno: per un certo periodo cercavo di risparmiare qualcosa da regali per ricorrenze varie e in estate mi venne concesso di partecipare a un torneo “non troppo lontano”, naturalmente purché fossi promosso a scuola. Fu così che riuscii a conseguire la promozione in Terza categoria a Cava dei Tirreni (vicino Salerno) nel settembre ‘75, in Seconda categoria a Campobasso nell’agosto ‘76 mentre nel ‘77, in occasione della fine del liceo, mi fu concesso addirittura di partecipare al torneo di Marina Romea, vicino Ravenna, dove vinsi il torneo di seconda categoria alla pari con un altro giocatore, conseguendo la promozione alla categoria Prima Nazionale! Era un successo insperato che andava al di là delle mie più ottimistiche ambizioni; a quei tempi non sognavo neanche lontanamente di andare oltre un risultato del genere.

Nella prima e nell’ultima partita di quel torneo successe qualcosa che non mi è mai più capitata in seguito: nella fase di apertura, mentre aspettavo la mossa del mio avversario, mi venne in mente che avrebbe potuto spingere un certo pedone di due passi in maniera del tutto insolita, soprattutto nel secondo caso. Ebbene, dopo pochi secondi da questo pensiero, in entrambi i casi mi fu giocata la mossa che mi era passata per la mente, lasciandomi completamente incredulo! Due casi di telepatia nello stesso torneo, evidentemente ero sulla stessa lunghezza d’onda dei miei avversari. Curiosando fra le scacchiere degli altri tornei, una sera notai un bambino che, in seguito a un errore, aveva perso un pedone e il diritto all’arrocco, rimanendo in posizione svantaggiosa. Da allora in poi collocò tutti i suoi pezzi nelle case migliori, mentre il suo avversario brancolava nel buio e ben presto ribaltò completamente la situazione vincendo con grande facilità e naturalezza. In seguito capii che avevo avuto la fortuna di vedere in anteprima all’opera Michele Godena, uno dei più forti giocatori italiani di sempre.

La partecipazione a quel torneo fu impreziosita dalla simultanea con il Grande Maestro Evgenij Svešnikov, un fortissimo giocatore sovietico. In una simultanea un forte giocatore gioca contemporaneamente contro tanti avversari, alternandosi tra le varie scacchiere; quando il maestro gioca la sua mossa passa alla scacchiera successiva e si ha tempo per pensare fino al completamento del giro. Svešnikov mi giocò la partita scozzese e riuscii a resistere fino alla fine, arrivando a un finale in cui avevo l’alfiere e tre pedoni mentre lui aveva il cavallo e tre pedoni; purtroppo i pedoni erano tutti dallo stesso lato e per di più avevo una debolezza strutturale, cosa che gli permise di vincere manovrando il cavallo in maniera davvero magistrale. Inoltre la mia partita fu l’ultima a finire, per cui ci trovammo seduti di fronte giocando a ritmo di gioco lampo, cosa che non poté che accelerare la mia fine: mi ero imbattuto nella famosa scuola sovietica!

Qualche settimana dopo mi iscrissi alla facoltà di Chimica dell’Università di Bari.

 

 

Incontri ravvicinati (prima parte)

In un primo momento cercai di conciliare gli studi di Chimica con la pratica scacchistica, qualche volta frequentai l’Accademia scacchistica barese, la cui sede si trovava vicino al Campus universitario, ma presto la cosa mi risultò impossibile. Di tanto in tanto, in quegli anni, partecipai a qualche torneo di vario genere, a volte con successo, ma lo feci senza nessuna preparazione e in maniera assolutamente episodica. Ma nell’autunno del 1981 ci fu un evento importantissimo: il match per il titolo mondiale fra il detentore Anatolj Karpov e lo sfidante Viktor Korcnoj fu organizzato a Merano, in provincia di Bolzano. Un mio amico, pur non giocando come me da anni, mi propose di fare un salto di tre giorni in un weekend, giusto il tempo di assistere a una partita. Senza starci a pensare troppo, in quattro e quattr’otto partimmo in treno da Bari e attraversammo tutta l’Italia: fu molto emozionante assistere dal vivo a una partita così importante. I giocatori erano sulla scena di un teatro e il pubblico poteva seguire la partita osservando una grande scacchiera murale, purtroppo i posti destinati al pubblico erano parecchio lontani e questo toglieva un po’ di incanto allo spettacolo. Per informazione, assistemmo alla sesta partita che fu una delle due vinte dallo sfidante, ma Karpov si impose nettamente nel match e poté iniziare l’ultima fase del suo regno, mentre già si profilava all’orizzonte un nuovo formidabile avversario. A Merano fui colpito dal fatto che nei caffè era possibile vedere avventori seduti ai tavolini a giocare a scacchi: mi vennero in mente le letture sui caffè di Vienna e Parigi, dove nell’ottocento erano nati gli scacchi moderni.

L’anno successivo nel mese di giugno dovetti andare a Torino per motivi di famiglia e il caso volle che proprio in quel periodo ci fosse in quella città un grande torneo internazionale del massimo livello con Karpov, Spassky e altri fortissimi Grandi Maestri. Giocavano in un edificio dalle parti del parco del Valentino e, con mia grande gioia, un pomeriggio potei andare ad assistere alle partite: ero ancora all’esterno quando vidi arrivare Karpov, minuto, vestito in abito scuro, con auto d’ordinanza e autista. Poco dopo arrivò Spassky, l’ex campione del mondo sconfitto da Fischer dieci anni prima: alto e di bell’aspetto, chioma fluente e abbigliamento casual, sembrava più un divo hollywoodiano che un campione di scacchi. Una volta entrato ebbi una bellissima sorpresa: fra il pubblico c’era il sig. Capitani, che aveva dei parenti lì ed era andato a Torino per assistere al torneo. Fui tristemente colpito dalla scarsa affluenza di pubblico, mentre in una città così importante pensavo di trovare folle di appassionati da tutto il Nord Italia: dopo dieci anni dal match Fischer-Spassky ormai l’interesse per gli scacchi in Italia era del tutto scemato. Un’altra cosa che notai mestamente era che il tempo inesorabilmente lasciava i suoi segni sul mio vecchio amico, il sig. Capitani. 

Terminati gli studi universitari, ebbi qualche tempo di scarsi impegni in cui cercai di riallacciare il filo, ma ben presto mi piombarono addosso mille altre cose, poi partii per il servizio militare e gli scacchi, insieme a tutto il resto, tornarono in alto mare.

 

 

I tornei magistrali

Durante il servizio militare passai otto mesi a Napoli (arrivai in città il giorno dopo Maradona) ed ebbi l’occasione di frequentare qualche volta il Circolo di piazza Trieste e Trento, dove giocai un paio di tornei lampo, comportandomi decorosamente. Tuttavia non giocavo partite serie da anni; subito dopo il congedo partii ancora per una supplenza in provincia di Como e tornai a casa ai primi di luglio del 1985. Avevo finalmente un paio di mesi di libertà e contattai gli amici scacchisti: molte cose erano cambiate, il Circolo era adesso ospite del CRAL Arsenale, all’inizio di via Di Palma, poco distante da via Falanto. C’era un po’ di fermento perché gli amici di Lecce avevano organizzato un forte torneo che si sarebbe giocato nel castello Carlo V ad agosto; ebbi così giusto il tempo di giocare qualche partita di allenamento, rivedere qualche variante d’apertura e partecipai al torneo di categoria Prima Nazionale. Con mia sorpresa giocai in maniera molto fredda ed efficiente, vinsi quattro partite, ne pareggiai altrettante senza subire sconfitte e conquistai il secondo posto e la promozione a Candidato Maestro! Un risultato veramente inatteso, soprattutto se si tiene conto della mia lontananza dalle competizioni per tanto tempo, che mi apriva la strada alla partecipazione ai tornei magistrali!

Nel frattempo era arrivata la nomina nelle scuole superiori e da settembre cominciai a insegnare Chimica a Sava e, negli anni successivi, in diversi Istituti di Taranto. I tornei del castello Carlo V si svolsero fino al 1988 e così, in quegli anni, partecipai ai miei primi tornei magistrali, cui avevano accesso i giocatori con il titolo da Candidato Maestro in su, per cui non ci si poteva permettere nessun calo di rendimento. I miei risultati furono abbastanza buoni e nel 1988, approfittando della libertà da esami vari, andai a giocare a Torino, conquistando la prima norma magistrale (per conquistare la promozione a Maestro non basta un solo risultato, ma ne occorrono diversi in un certo arco di tempo; allora si parlava di “norme”) e vincendo per la prima volta contro un Maestro Internazionale!

 

Vujovic-Indelicati (Torino 1988) C56. Difesa dei due cavalli

1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. d4 exd4 4. Ac4 Cf6 5. e5 d5 6. Ab5 Ce4 7. Cxd4 Ad7 8. Axc6 bxc6 9. 0-0 Ac5 10. f3 Cg5 11. f4 Ce4 12. Ae3 0-0 13. Cd2 f6 14. Cxe4 dxe4 15. De2 Ag4! 16. Df2 (16. Dc4+ Dd5) De8 (non 16. … fxe5? 17. Cxc6) 17. exf6 Txf6 18. h3 Ac8 19. Cb3 Ad6 20. De2 a5 21. c4 Df7 (guardando c4 e f4) 22. Tad1 Aa6 23. Cd2 (non 23. Cxa5? Ab4) Te8 24. b3? (bisognava giocare 24. g3) Ac8! (prima di catturare il pedone f4, che ormai non scappa, il Nero riattiva l’alfiere di donna) 25. Df2? (inutile tentativo di difendere f4, che peggiora la situazione) Axf4! 26. Axf4 e3 27. De2 (unica per evitare 27. … e2) exd2 28. Dxd2 Tf8 (l’alfiere f4 è condannato) 29. Dxa5 (se 29. g3 g5) Txf4 30. Txf4 Dxf4 31. Dc5 Axh3 (diagramma) 32. Dxc6 (se 32. gxh3 Dg3+ e poi 33. … Df3+ catturando la torre) De3+ 33. Rh2 Axg2 34. Dxg2 Tf2 (qui il Bianco avrebbe potuto tranquillamente abbandonare) 35. Td8+ Rf7 36. Td7+ Rf6 37. Txg7 Txg2+ 38. Txg2 h5 39. Tg3 Df4 40. Rh3 Df1+ 41. Rh2 Rf5 42. a4 Rf4 43. a5 Df2+ 44. Tg2 Dh4+ 45 Rg1 De1+ 46. Rh2 Dxa5 47. Tf2+ Rg4 48. Tg2+ Rh4 49. Te2 Dc3 50. Te4+ Rg5 51. Te7 Dxb3 52. Te5+ Rf4 53. Txh5 Dg3+ ...e finalmente il Bianco abbandona (0-1)

 

Era un ottimo risultato, ma nei tornei successivi non fu confermato: a Lecce, quella stessa estate, giocai mediocremente e l’anno successivo, a Varallo Sesia - vicino Vercelli - andai sotto la soglia psicologica del 50%. Quest’ultimo torneo fu un tentativo di conciliare una vacanza estiva con un torneo: ero sposato da poco e il posto era bellissimo (mia moglie ricorda ancora estasiata un’escursione in funivia sul Monte Rosa in un giorno di riposo), ma mi resi conto che le due cose, almeno per me, erano inconciliabili. Un episodio che merita di essere raccontato fu la presenza come ospite d’onore di Boris Spassky, che si esibì una sera in una simultanea nella piazza principale di Varallo. Purtroppo proprio quel giorno io fui impegnato in una partita interminabile e, siccome avevo appositamente portato con me un libro di una sua raccolta di partite comprato nei miei primi anni di attività, fui costretto ad allontanarmi dalla sala di gioco (con l’orologio in moto!) per arpionare quel “gigante” (metaforicamente e non solo) e riuscire a ottenere un suo autografo. Il mio risultato migliore di quell’avventura!

Dopo quel torneo la mia attività scacchistica subì, per diversi motivi, un rallentamento e mi dedicai più che altro ai semilampo. Già, i semilampo...

 

 

I tornei semilampo

Un tipo di competizione che mi è sempre piaciuto molto è il torneo semilampo, che nella versione classica prevede 15 minuti di tempo di riflessione per ciascun giocatore per tutta la partita. Questa cadenza offre la possibilità di giocare partite relativamente ponderate in tempi contenuti e di concludere un torneo nell’arco di una giornata o meno. Per questo è un tipo di gara molto frequente nel quale mi sono trovato generalmente bene, a differenza del gioco lampo. Mentre in certi periodi non me la sentivo di affrontare tornei impegnativi, per un semilampo bastava mettersi in macchina e in un giorno ti sbrigavi.

Luca Shytaj vs Giuseppe Indelicati

É doveroso ricordare un grande semilampo di livello internazionale organizzato da Alberto Bernabei a Otranto nel 1994 cui presero parte fortissimi giocatori italiani ed esteri e che fu vinto dal Grande Maestro Sergio Mariotti, ma qui voglio raccontare del periodo a cavallo del 2000, in cui ci fu il boom di questi tornei in Puglia ed è coinciso col mio periodo di maggiore attività. In quegli anni in Puglia c’erano tanti buoni giocatori, alcuni dei quali sono poi diventati molto forti, e quasi ogni domenica ci si incontrava in posti diversi della nostra regione o a volte della Lucania dove ce le davamo di santa ragione! Naturalmente poteva vincere uno solo, ma a volte capitava che il fortunato fossi io e in ogni caso si aveva la sicurezza di passare una domenica fra amici perché, malgrado la rivalità, i rapporti erano generalmente ottimi e in certi casi di vera e propria amicizia. I protagonisti di questi accanitissimi contest sono stati davvero tanti (probabilmente c’erano almeno una ventina di giocatori in grado di vincere), per cui spero che nessuno ci rimanga male se nominerò solo i tre che in seguito avrebbero raggiunto i massimi titoli: il Grande Maestro Luca Shytaj di Bari (il mio avversario nella foto), il Maestro Internazionale Pierluigi Piscopo di Copertino (Le) e il Maestro Internazionale Nicola Altini di Bari.

Si potrebbero scrivere volumi di aneddoti su queste battaglie, ma qui ne racconterò uno solo: un giorno a Massafra ero in uno stato di grazia particolare e vinsi sette partite di seguito, battendo tutti i miei avversari diretti, tra cui il terribile Maestro Giuseppe Coratella (“big Coraz”); all’ultimo turno purtroppo persi con il mio amico Dino Ariete. Non ero però troppo preoccupato perché potevo essere raggiunto solo da Coraz, che era stato accoppiato col nero contro Piscopo, certo non il più facile degli avversari. Andai a vedere la partita e Coraz aveva una torre in meno, posizione completamente persa; come estrema risorsa minacciò matto in una mossa, senza che l’avversario se ne accorgesse. Partita vinta fortunosamente da Coraz, che mi soffiò il primo premio per un discutibile cavillo regolamentare. Decisamente quel giorno la “Dea bendata” era dalla sua parte, ma forse riconobbe semplicemente il giocatore più forte.

In quegli anni avevo l’abitudine di trascrivere “a caldo” quello che ricordavo di quei tornei, e così ho la possibilità di mostrare la partita col mio rivale. Va detto che giocammo tante partite con quella variante di apertura: entrambi ci mostrammo fedelissimi alle nostre idee e ogni volta preparavamo un “miglioramento”, alternandoci con sorprendente regolarità nelle vittorie. Non la commento perché ricordo che avevamo quindici minuti di riflessione a testa per l’intera partita e non penso che abbia molto senso analizzare partite veloci. Mi sembra che la partita dia un’idea di quanto fossero combattuti questi tornei.

 

Indelicati-Coratella (Massafra 2001, Semilampo) A14. Difesa francese

1. e4 e6 2. d4 d5 3. Cc3 Cf6 4. Ag5 Ae7 5. e5 Cfd7 6. h4 Axg5 7. hxg5 Dxg5 8. Ch3 De7 9. Dg4 g6 10. 0-0-0 Cc6 11. Cg5 h5 12. Dg3 Cb6 13. Ad3 Ad7 14. Cxf7 Rxf7 15. Axg6+ Rf8 16. Td3 h4 17. Tf3+ Rg7 (diagramma) 18. Dg4 Th6 19. Tf7+ Dxf7 20. Axf7 Rxf7 21. Th3 Ce7 22. Df4+ Cf5 23. g4 Tg6 24. gxf5 exf5 25. Txh4 Tag8 26. b3 a5 27. e6+ Rxe6 28. De5+ Rf7 29. Th7+ T8g7 30. Txg7 Txg7 31. Dxc7 Tg6 32. Cxd5 …e il Nero abbandona (1-0)

 

Voglio infine ricordare l’ultimo dei semilampo di una certa forza che vinsi: a settembre 2011 a San Vito dei Normanni (Br). Fui iscritto a quel torneo a mia insaputa dal mio amico Angelo Lanzillotta, spesso mio compagno di viaggio, ma quella mattina corsi la prima mezza maratona della mia vita (21 Km) a Faggiano (vicino Taranto) e non pensavo certamente di andare a giocare a scacchi nel pomeriggio. Ma tant’è: all’ora di pranzo Angelo passò a prendermi e, con le gambe dolenti, andai a vincere quel torneo, in un ideale passaggio di consegne tra due grandi passioni.

 

 

Il gioco per corrispondenza

Una modalità di gioco che ha davvero il sapore del passato (ma che credo esista ancora in versione elettronica) era il gioco per corrispondenza. I giocatori si spedivano le mosse per posta e si giocavano veri e propri tornei che potevano durare da un anno in su. A Taranto c’era stato nel 1958 un campione italiano di questa specialità, Edoino Busetto (questa impresa fu poi ripetuta all’inizio degli anni ‘90 da Angelo Peluso, per cui Taranto ha avuto due campioni italiani in questa specialità), il quale aveva però smesso di giocare ai tempi del mio ingresso nel circolo, e così l’ho solo sentito nominare senza averlo mai conosciuto. Sta di fatto che diversi membri del circolo giocavano per corrispondenza e così cominciai a farlo anch’io. Molti erano scettici sia per il fatto che si potessero consultare i manuali per le mosse iniziali, sia perché si poteva ricorrere all’aiuto di altri giocatori per la scelta della mossa da giocare.

Io non mi preoccupai troppo di tutto questo perché consideravo le partite per corrispondenza semplicemente come un mezzo in più per tentare di approfondire la conoscenza del gioco, ma i risultati a cui davo importanza erano quelli del gioco “a tavolino” e credo che quelle partite ebbero una certa importanza per abituarmi a un’analisi attenta delle posizioni e quindi a un gioco meno impulsivo e più ragionato. L’arrivo delle cartoline con le mosse degli avversari era sempre un momento atteso con i suoi carichi di gioia, ansia o delusione a seconda dell’andamento delle partite. Giocai tre tornei dal 1973 al 1977, per un totale di 24 partite (un numero limitatissimo, c’era chi giocava centinaia di partite contemporaneamente) e poi smisi con l’inizio degli studi universitari; ripresi a metà anni ‘80 e giocai diverse partite interessanti, visto che il mio livello di gioco era decisamente superiore rispetto a dieci anni prima; una di queste partite vinse anche un premio di bellezza.

 

Indelicati-Cuoghi (1992, partita per corrispondenza) B05.Difesa Alekhine

1. e4 Cf6 2. e5 Cd5 3. d4 d6 4. Cf3 Ag4 5. Ae2 e6 6. 0-0 Ae7 7. c4 Cb6 8. Cc3 0-0 9. h3 Ah5 10. Ae3 d5 11. c5 Axf3 12. gxf3 (è possibile anche la ripresa d’alfiere; prendendo di pedone l’alfiere continua a controllare c4 e inoltre il Bianco spera di utilizzare la colonna g per l’attacco) Cc8 13. f4 Cc6 14. b4 Ah4 15. b5 Ca5 16. Ad3 g6 17. Dg4 Rh8 18. Rh2 (il Bianco apre le operazioni sulla colonna g) h5 (indebolimento non necessario di cui il Nero si pentirà presto) 19. Df3 Ce7 20. f5 (a causa dell’indebolimento 18. … h5 i tre controlli su f5 del Nero non sono sufficienti a evitare questa spinta di rottura) Cxf5 21. Axf5 exf5 22. Cxd5 Tg8 23. Cf4 Tg7 24. Tg1 c6 25. d5! (lo sfondamento decisivo arriva al centro) cxd5 26. Ad4 Cc4 27. e6 (il Bianco mina la base della difesa del Nero, cioè il punto f7) Af6 28. exf7 Ae5 (tentativo di difesa un po’ acrobatico, inchiodando il Cf4) 29. Txg6 (diagramma) Dh4 30. Rh1! (il Bianco emerge vincente dal gioco di inchiodature reciproche) Rh7 e ora? 31. Cg2! (il tocco finale: il Nero è costretto a scegliere fra la perdita della donna o il matto in h5) …il Nero abbandona (1-0)

Tuttavia, all’inizi degli anni ‘90, accadde un fatto che mi allontanò definitivamente da questo tipo di gioco: in una partita in cui ero in grande vantaggio sottoposi la posizione all’analisi di una scacchiera elettronica, cioè di un computer dedicato agli scacchi, e il cervello di silicio trovò la mossa vincente prima che ci arrivassi da solo. Si tenga presente che questo è accaduto trenta anni fa, adesso è ovvio che un computer trovi le mosse giuste prima di un essere umano, ma allora ne fui particolarmente colpito, e la cosa mi causò anche problemi di coscienza: alla fine giocai la mossa in questione, ma dopo poco smisi di giocare per corrispondenza. I progressi dei software scacchistici tolsero, dal mio punto di vista, ogni attrattiva a questo tipo di gioco che però, ripeto, per me ebbe una importanza non irrilevante negli anni della crescita scacchistica.

 

 

Incontri ravvicinati (seconda parte)

Alla fine del 1989 ci fu nuovamente l’occasione di vedere all’opera Karpov, la cui partecipazione fu annunciata al torneo di Capodanno di Reggio Emilia e così, insieme a mia moglie, mi recai in quella città per qualche giorno fra Natale e Capodanno. In quell’occasione feci un vero atto di pirateria, scavalcando le transenne e mettendo davanti a quella leggenda vivente (subito prima dell’inizio della partita con il Grande Maestro svedese Ulf Andersson) un libro di una sua raccolta di partite e una penna perché me lo firmasse, cosa che per fortuna fece immediatamente (dopo avermi lanciato un comprensibile sguardo di stupore), prima che l’arbitro potesse allontanarmi. Due anni dopo gli organizzatori del torneo di Reggio Emilia si superarono: l’edizione del ‘91/92 fu uno dei tornei più forti della storia degli scacchi dato che vedeva la presenza di Garry Kasparov, campione del mondo in carica dal 1985, dopo aver battuto Karpov e aver giocato la bellezza di cinque (!) match contro di lui fino al 1990, riuscendo sempre a conservare il titolo. Era presente inoltre lo stesso Karpov, il 22enne Vishy Anand, indiano, nuova star internazionale, futuro vincitore del torneo e futuro campione del mondo e molti altri fortissimi giocatori.

Naturalmente non potevo mancare e tornai a Reggio Emilia nello stesso periodo, questa volta in compagnia di un mio amico. Ci sono un paio di episodi che ricordo con un sorriso: Anand aveva appena vinto contro Kasparov (il cui carattere non è dei migliori) e i due giocatori stavano rivedendo la partita appena giocata; noi del pubblico osservavamo la scena al di qua delle transenne in religioso silenzio, quando qualcuno le scavalcò e spostò un pezzo sulla scacchiera mostrando una mossa che secondo lui si sarebbe dovuto giocare. Seguì un attimo di smarrimento in cui io temetti seriamente per l’incolumità di quel temerario, ma per fortuna Kasparov semplicemente lo ignorò, Anand rispose gentilmente indicando quella che sarebbe stata la risposta (io ero troppo lontano per capire esattamente di cosa si trattasse) e il temerario ritornò fortunatamente tra noi, illeso e apparentemente soddisfatto.

Quella stessa sera, in maniera del tutto fortuita, andammo a cena in un ristorante dove poco dopo entrò nientemeno che lo stesso Kasparov, in compagnia di alcune persone. Non potei trattenermi da una rumorosa esclamazione: “Mister Kasparov!!”, mentre chiedevo a un cameriere un pezzo di carta qualsiasi. Lui mi rivolse uno sguardo mesto come di un cane bastonato, la sconfitta bruciava ancora e reagiva esattamente come un qualsiasi altro giocatore. “Don’t worry for the loss! You’re the best” (Non preoccuparti per la sconfitta! Tu sei il migliore!), gli dissi nel mio incerto inglese porgendogli il foglio, lui abbozzò un sorriso e me lo firmò, mentre una donna che era con lui (probabilmente la moglie) esplodeva in una risata. Sono state queste (sinora) le occasioni in cui ho visto dal vivo dei Campioni del mondo, ma circa quindici anni dopo avrei potuto inaspettatamente ammirare un futuro vice-campione del mondo, e questa volta a pochi chilometri da casa.

 

 

Il cerchio della vita

Come ho già accennato, il Circolo scacchi Taranto aveva cambiato sede verso metà anni ‘80, passando da quella di via Falanto a una poco distante, presso il CRAL Arsenale. Dalla fine anni ‘80 ai primi anni ‘90 mi dedicai all’organizzazione e alla didattica. Molti avevano smesso di giocare, ma c’erano nuovi giocatori, alcuni dei quali abbastanza promettenti. Un giorno notai un bambino che giocava con un suo coetaneo, lo vidi catturare in sequenza e senza esitazione tre pezzi che il suo avversario aveva generosamente lasciato indifesi: era il mio primo incontro con Gigi Delfino.

Uno dei nuovi soci aveva uno studio fotografico e a volte passavamo lì le serate con un gruppo di amici giocando a scacchi; ricordo quei tempi con tantissimo piacere e nostalgia, anche perché vincevo sempre (scherzo). C’era anche un gruppo di fedelissimi che non avevano mai smesso di frequentare il Circolo, e fra loro i cari Gino Filippi e Emilio Capitani. Ma nel giro di pochi anni dovemmo con dolore dire addio a questi amici: malati da tempo, ci lasciarono nel giro di un paio d’anni. Da sempre appassionato di sport, l’ultima consolazione del Sig. Capitani fu poter seguire le Olimpiadi di Atlanta in TV. Se ne andò nell’agosto del 1996.

Nel frattempo ero diventato padre e lasciai perdere per un po’ gli scacchi, ma il Circolo certamente non ne risentì perché venne fuori un vero grande maestro dell’organizzazione, che negli anni successivi avrebbe rivitalizzato incredibilmente gli scacchi di Taranto e non solo: Gigi Troso. Fu anche grazie al fiorire di eventi conseguenti al suo impegno che, sul finire degli anni ‘90, decisi di riprendere l’attività agonistica.

 

 

Un sogno si avvera

Un tipo di tornei che non avevo mai preso in considerazione fino alla fine degli anni ‘90 erano i “weekend”, che in genere prevedevano un turno il sabato pomeriggio e altri due la domenica mattina e pomeriggio, il tutto ripetuto per il weekend successivo per un totale di sei turni. Li avevo sempre scartati perché il doppio turno mi sembrava troppo stressante e perché ero legato all’idea del torneo “serio” che si svolge in una settimana.

Ma, arrivato sulla soglia dei 40 anni, sapevo che solo per poco avrei potuto contare ancora sulla pienezza dei miei mezzi fisici e mentali e così cominciai a giocare regolarmente in ogni tipo di competizione che mi capitasse a tiro, tanto più che le occasioni non mancavano di certo in quel periodo: oltre ai tornei weekend, organizzati in diverse città pugliesi, ci furono diverse edizioni di un importante torneo internazionale organizzato a Castellaneta grazie a Gigi Troso e all’amministrazione comunale di allora; c’era poi il festival “Sant’Anna”, organizzato a Pisignano di Vernole (Le) dall’ Accademia salentina degli scacchi, fondata da qualche anno dal Maestro di Lecce Giorgio Sansonetti, leggenda dello scacchismo pugliese.

Insomma, a differenza dei tempi dei miei esordi, si poteva giocare con continuità e così feci negli anni dal 1998 al 2002. Fu una decisione giusta: grazie all’assiduità nella pratica agonistica il mio gioco acquistò in sicurezza e ottenni i migliori risultati di sempre, che culminarono nella conquista del titolo magistrale a Foggia nel dicembre 2000; questa volta non era un risultato inatteso perché mi ero avvicinato gradualmente a quell’obiettivo da circa un anno, ma non potei fare a meno di pensare ai tornei di Bari di quasi 30 anni prima, quando il mio sogno era solo di conquistare la Seconda categoria.

Questa fu una delle partite più belle che giocai in quel periodo, contro un avversario particolarmente forte:

 

Mrdja-Indelicati (Pisignano 1998) C80. Partita spagnola

1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ab5 a6 4. Aa4 Cf6 5. 0-0 Cxe4 6. Te1 Cc5 7. Axc6 dxc6 8. Cxe5 Ae7 9. d4 Ce6 10. Ae3 0-0 11. c4 f6 (11. … f5 subito sarebbe un grave errore perché il Bianco potrebbe replicare con 12. f4 ottenendo un’ottima posizione, come imparai a mie spese in una semilampo contro Daniele Altini qualche anno prima) 12. Cf3 f5 13. d5 cxd5 14. cxd5 Cg5 15. Axg5 Axg5 16. Cxg5 Dxg5 17. Cc3 f4! 18. f3 Ah3 19. Dc2 Tae8 20. Rh1 Af5 21. Db3 Dh4 22. Ce4 Rh8 23. Db4 a5! (deviazione importantissima. Il Bianco deve scegliere se perdere il controllo di e1 o di f8) 24. Dc5 (se 24. Dxa5 Axe4 25. Txe4 Txe4 26. fxe4 f3 e il Bianco è nei guai; con la donna in b4 tutto questo non era possibile perché sarebbe rimasta in presa la torre f8) Tf7 (e adesso il Nero è pronto a raddoppiare sulla colonna e; il cavallo bianco non può liberarsi dall’inchiodatura perché la donna non controlla più la casa e1) 25. g3 (il Bianco perde la pazienza) fxg3 26. Cxg3 Tef8 (l’attenzione del Nero si sposta verso la nuova debolezza in f3) 27. Dxa5 Ag4! (diagramma) 28. Dd2 Axf3+ 29. Rg1 h5 30. Te5 Dh3 31. Tg5 h4 32. Cf1 Ae4 33. Th5+ Rg8 34. Cg3 Tf2 …e il Bianco abbandona (0-1)

 

Per festeggiare la promozione a Maestro nel 2001 partecipai a diversi tornei fuori dalla Puglia: a Verona e a Teramo giocai a un livello accettabile, ma nell’estate, in Sicilia, a Gioiosa Marea (ME), la mia “carriera” scacchistica raggiunse il suo zenit: giocai un torneo di testa (purtroppo sciupato da una sconfitta all’ultimo turno) e, per l’unica volta in vita mia, sconfissi un Grande Maestro, per di più con una partita d’attacco che fu addirittura pubblicata sulla rivista Torre e Cavallo.

 
Nenad Ristic vs Giuseppe Indelicati

Ristic-Indelicati (Gioiosa Marea 2001) C68. Partita spagnola

1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ab5 a6 4. Axc6 dxc6 5. 0-0 Ad6 6. d4 exd4 7. Dxd4 f6 8. c4 c5 9. De3 Ce7 10. b4 (il mio avversario pensò a lungo prima di giocare questa mossa, forse un po’ troppo rischiosa) cxb4 11. c5 Ae5 12. Cxe5 fxe5 (il Bianco ha procurato un pedone debole in e5 all’avversario, ma al prezzo di indebolire anche la sua posizione) 13. De2 0-0 (meglio restituire il pedone e mettere subito al sicuro il re) 14. Dc4+ Rh8 15. Dxb4 Cc6 16. Db2 Dd3! 17. Cd2! (costata più di mezz’ora di riflessione; dopo 17. Cc3? Cd4 il Bianco ha diversi problemi, ad esempio 18. Ad2? Cf3+! 19. gxf3 Dxf3, oppure 18. Td1?? Dxc3) Cd4 18. a4! a5!? 19. Db1 Da6 (qui sarebbe stata migliore 19. … Dc3) 20. Ab2 Ce2+ 21. Rh1 De6 22. Da2 (22. Cf3 mi avrebbe costretto al sacrificio di qualità con 22. … Txf3 dall’esito incerto) De7 (naturalmente il Nero non può cambiare le donne perché in tal caso la debolezza del pedone e5 diventerebbe decisiva) 23. Dc4 Cf4 24. Dc3 Dg5 25. Dg3 Dh5 26. Cf3 (qui sarebbe stata interessante 26. c6, con l’idea di ostruire la sesta traversa) Ta6 27. Axe5? (dopo questa mossa faticai sempre più a controllare le emozioni; la mossa giusta era 27. Cxe5! con posizione taglientissima) Tg6 28. Dh4? (l’errore finale, ma al Bianco è sfuggita la mossa successiva; per resistere bisognava dare la donna con 28. Axf4) e ora? 28. … Ah3!! (diagramma) 29. g4 Txg4 30. Dxh5 Ag2+ 31. Rg1 Ce2 matto!

 

Il momento in cui giocai la decisiva mossa d’alfiere resterà per sempre impresso nel mio cuore e alla fine di quella partita dovetti fare un grande sforzo per trattenere le lacrime.

Negli anni successivi, per diversi motivi, la mia partecipazione ai tornei andò via via diminuendo e i risultati non raggiunsero più quei livelli. Il mio periodo d’oro era ormai alle spalle.

 

 

I tornei a squadre

Può sembrare strano che, in un gioco così individuale come gli scacchi, esistano competizioni a squadre, le quali hanno invece una consolidata tradizione. Un certo numero di giocatori di una squadra (in genere quattro) gioca contro altrettanti avversari di un’altra e il risultato dell’incontro si ottiene dalla somma dei risultati individuali. La caratteristica di questi incontri è che ci si sente responsabili nei confronti dei compagni e così lo scacchista, abituato a essere l’unico artefice del proprio destino, in queste occasioni è costretto a pensare non solo all’esito della propria partita, ma anche al risultato di squadra. Questo ha avuto riflessi positivi su di me perché, essendo portato a un gioco aggressivo e a volte un po’ troppo rischioso, partecipando ai tornei a squadre ho sviluppato uno stile di gioco più solido e, alla fine, più redditizio.

Sin dai primi anni mi è capitato di partecipare a manifestazioni a squadre provinciali o regionali. Verso la fine degli anni ‘80 per qualche anno fu organizzata una competizione sponsorizzata dal “Quotidiano”, un giornale locale del sud della Puglia, in cui il nostro Circolo ottenne buoni risultati: la squadra base, oltre che da me, era composta dai fratelli Pasquale e Roberto Tamborino e da Piero Certo. Di quei tornei restò nella storia una trasferta in provincia di Lecce (allora non c’erano navigatori satellitari e spesso trovare le nostre mete nel leccese era una mezza avventura), in cui Piero mise k.o. tutta la squadra con una cassetta a tutto volume dei Goblin, di cui era un appassionato ascoltatore (quelli della colonna sonora di Profondo rosso). All’arrivo eravamo talmente rintronati che Lino Tamborino non se la sentì di giocare e credo che andò a finire male per noi, anche se sinceramente non ricordo il risultato.

Ma la gara a squadre più importante per i giocatori italiani è il Campionato Italiano a squadre. Alla fine degli anni ‘90 il Circolo scacchi Taranto era in serie C, ma presto fu promosso in serie B. In quel periodo giocammo un incontro a Pisignano-Vernole (Le) e io conclusi molto presto la mia partita, quindi, in attesa dei miei compagni, mi misi a giocare lampo; a un certo punto si fece avanti un ragazzino sui 12-13 anni e sin dalle prime mosse mi resi conto che c’era da sudare: dovetti impegnarmi per mantenere lo score sul 50%, e fu così che conobbi Pierluigi Piscopo.

La squadra del CIS Taranto

Una volta promossi in serie B, c’era una serie di problemi da affrontare: spesso non tutti i nostri migliori giocatori erano disponibili e non risultava semplice riuscire a schierare a ogni incontro quattro giocatori competitivi; così proposi ai fratelli Antonio e Roberto Campanile, due forti giocatori di Mola di Bari, di far parte della nostra squadra. La proposta fu accettata e così nacque un team molto competitivo a livello dilettantistico che, per più di dieci anni, giocò nelle serie A2 e A1, arrivando in un paio di occasioni allo spareggio per la serie Master, la massima serie nazionale in cui giocano per lo più professionisti. Per i nostri risultati fummo anche invitati a una manifestazione della Provincia di Taranto per ricevere un riconoscimento insieme agli sportivi più in vista della nostra provincia e avemmo l’onore di essere premiati dal grandissimo Pietro Mennea!

La nostra squadra migliore (nella foto in un incontro a Sant’Anastasia, in provincia di Napoli) vedeva schierati Roberto Campanile, Antonio Campanile, Gigi Delfino e io. Le riserve erano Gerardo Ariete e Angelo Lanzillotta. Nell’edizione del 2006, credo, accadde un episodio divertente: una squadra avversaria aveva assoldato un Grande Maestro. Una sera, a cena, si parlava delle partite appena terminate e questo forte giocatore stava mostrando la sua, quando Antonio notò qualcosa che non andava e si alzò dal nostro tavolo, avvicinandosi a quello dei nostri avversari per mostrare la mossa giusta. Il Grande Maestro, resosi conto dell’errore, annuì e sorrise con gentilezza ma con evidente imbarazzo.

Durante i lunghi viaggi in auto spesso raccontavo delle mie avventure scacchistiche e la cosa divertiva molto in particolare Gigi Delfino, per cui è anche un po’ colpa sua se successivamente è nata in me l’idea di annoiarvi da circa un mese con questi racconti. Per diversi motivi, e perché nulla dura in eterno, quella squadra si è poi dissolta.

Giocai l’ultima partita in un incontro a squadre nella primavera del 2015.

 

 

I giocatori slavi

Sin dal mio primo torneo fuori casa, a Bari 1973, mi abituai alla colorita presenza dei giocatori slavi, che erano i primi ad accogliere i partecipanti col loro banchetto di libri e pubblicazioni scacchistiche varie in vendita. Infatti, oltre ad andare a caccia dei premi in denaro, un’altra fonte di reddito era per loro la vendita dei libri; non a caso fu proprio lì che acquistai il mio primo Informatore, pubblicazione iugoslava allora semestrale che utilizzava un linguaggio per simboli comprensibile dai giocatori di tutto il mondo e che raccoglieva tutte le partite più importanti giocate in quel periodo. Rappresentò una vera rivoluzione per l’editoria scacchistica, ponendo inconsapevolmente le basi di quelli che sarebbero poi diventati i mostruosi Database dell’epoca informatica.

Ma tornando ai giocatori slavi, si trattava di professionisti espertissimi il cui livello di gioco poteva essere molto alto, ma in ogni caso tale da metterli quasi sempre in condizione di lottare per i primi premi. Sia che si trattasse di un torneo magistrale, di un open o anche di un semplice semilampo, appena il montepremi avesse un valore sufficiente a giustificare il viaggio si poteva star certi che avremmo dovuto vedercela con questi terribili avversari. Come ho già detto, alcuni di loro erano molto forti in assoluto ed erano quasi invincibili, anche se in occasioni episodiche potevano lasciare qualche punto per strada; altri, pur forti, erano di un livello più abbordabile per noi giocatori dilettanti, ma avevano comunque dalla loro una grandissima esperienza e, quando il tempo sull’orologio scarseggiava, le loro astuzie diventavano micidiali. A me capitò che in un finale completamente patto con alfieri di colore contrario e catene di pedoni bloccate e impenetrabili (non avrebbe potuto vincere nemmeno il campione del mondo), nella foga dello zeitnot (cioè quando il tempo di riflessione sta per terminare) il mio avversario si mise a sbattere i pezzi con una forza tale che c’era il rischio che il suo alfiere “saltasse” aldilà della catena di pedoni. Solo in seguito alla mia veemente reazione intervenne l’arbitro che ristabilì il corretto svolgimento dei fatti e finalmente fu decretato il giusto risultato di parità. Questo solo per dare un’idea che bisognava essere pronti a tutto.

Vedevamo quindi questi giocatori come terribili avversari, ma molti di noi avevano anche molta simpatia nei loro confronti e c’era sempre chi era disponibile a dare un passaggio in auto o anche a ospitarli per il pranzo o per una notte presso la propria casa. Era una situazione paradossale, perché in tali circostanze aiutavamo i nostri avversari a sottrarci i premi, ma prevaleva l’istinto di ospitalità e di sportività, e poi il motto della FIDE è pur sempre “Gens Una Sumus”. Terminato un torneo, mentre noi tornavamo alle nostre occupazioni e alla nostra routine settimanale, questi autentici “globe-trotter” della scacchiera si rimettevano in treno e partivano alla volta di un altro torneo, cambiando città e regione. Tante volte mi sono chiesto se avrei mai potuto scambiare la mia vita con la loro. La risposta a questa domanda è “No”, perché, a meno che uno non sia un giocatore fortissimo, è certo che andrà incontro a una vita precaria. Resta però da considerare il lato romantico della cosa, e da questo punto di vista chi ha fatto questa scelta ha seguito il suo istinto e ha trascorso la vita facendo ciò che gli piaceva e viaggiando in ogni parte del mondo, risparmiandosi i compromessi e i problemi della maggior parte dei lavori e delle vite “normali”.

 

 

È fortissimo, ma il suo gioco è un po’ …artificiale

Sin da quando iniziai a giocare sapevo che c’era chi si interessava di programmare i computer per giocare a scacchi e ad altri giochi da tavolo, ma negli anni ‘70 i risultati erano deludenti. Ogni tanto i giornali pubblicavano partite fra grandi giocatori e computer avanzatissimi, che ne uscivano con le ossa rotte, giocando a un livello da principianti. Era opinione comune che il numero di combinazioni di mosse possibili fosse troppo grande anche per i più potenti calcolatori e ci furono matematici che si spinsero a dire che le macchine non avrebbero mai superato l’uomo negli scacchi perché, grazie all’intuito, quest’ultimo poteva scartare solo con uno sguardo tantissime possibilità che costringevano invece le macchine a pesantissimi e inutili calcoli. Noi scacchisti ci sentivamo orgogliosi di tutto ciò e credevamo che questa situazione sarebbe durata per sempre.

Nei primi anni ‘80 cominciarono a comparire i primi personal computer, che arrivarono fra l’altro anche negli studi dei professori universitari; fra i programmi che avevano in dotazione c’erano anche dei software scacchistici e, siccome qualcuno sapeva che ero uno scacchista, fui invitato a “provare” questi programmi: fu un’esperienza molto divertente perché erano debolissimi e mi permettevano di vincere facilmente, mentre commentavo il gioco e chiacchieravo con i presenti. Negli anni successivi questa scena si ripeté a casa di amici e conoscenti che per primi si stavano dotando di un PC, ma l’impresa era sempre più dura e la voglia di chiacchierare scomparve rapidamente. Era evidente che erano stati fatti passi da gigante da parte dei programmatori e ben presto questi software risultarono troppo forti per me, ma questo era davvero il meno: cominciarono a comparire su giornali e riviste notizie di giocatori professionisti sconfitti dai computer fino a quando, nel 1997, il Campione del mondo Garry Kasparov non fu sconfitto in un match da Deep Blue, un computer appositamente realizzato per questo storico evento. La velocità dei microprocessori era ormai diventata tale che l’incredibile numero di calcoli di cui erano diventati capaci le macchine superava l’intuito umano!

Dopo lo shock iniziale gli scacchisti si ripresero, in considerazione del fatto che le gare di corsa esistono anche se ci sono macchine capaci di superare i 300 Km/h, e si abituarono a considerare i computer come degli strumenti per lo studio e per l’analisi delle proprie partite, come era giusto che fosse. Naturalmente tutto ciò creò una serie di nuovi problemi, come quello del “cheating elettronico”, cioè la possibilità di farsi aiutare in maniera fraudolenta da una macchina attraverso espedienti più o meno ingegnosi. Nei grandi tornei i giocatori sono sottoposti a un controllo con un metal detector prima dell’ingresso nella sala di gioco, ma per la grande massa dei giocatori non credo che sia ancora stata trovata una soluzione definitiva.

Nel corso degli anni sono stati sviluppati programmi via via più forti, semplicemente perché continuava ad aumentare la velocità di calcolo, ma nel 2017 si è arrivati a una svolta fantastica: lo sviluppo di un software con una concezione del tutto nuova. Il suo nome è Alphazero e le sole istruzioni che gli sono state fornite sono le regole del gioco, quindi lo si è fatto giocare con se stesso per un incredibile numero di partite (più di mille al secondo!) e, nel giro di quattro ore, è diventato più forte di qualsiasi altro programma imparando esclusivamente dai propri errori. Ma non è tutto: la scelta della mossa non si basa esclusivamente sulla potenza di calcolo, ma sulla probabilità che porti a un esito positivo, e questo porta Alphazero a sviluppare uno “stile” che ricorda quello degli esseri umani e lo distingue nettamente rispetto agli altri programmi scacchistici. Questa innovazione nel metodo di scelta della mossa da giocare è stata anche dovuta al fatto che Alphazero è stato realizzato in seguito allo sviluppo di un analogo programma per il “gioco del Go” (AlphaGo Zero). In questo gioco le possibilità sono ancora maggiori degli scacchi e l’approccio col metodo del calcolo puro non dava il modo di ottenere programmi capaci di battere i migliori giocatori umani, obiettivo invece raggiunto con questo tipo di approccio diciamo “probabilistico”. Siamo quindi a una nuova frontiera ed è facile immaginare che tutto ciò porterà a tante applicazioni in settori ben più importanti degli scacchi.

 

 

Gli anni più recenti

Nel 2007 gli scacchi pugliesi furono movimentati ulteriormente da una nuova iniziativa del vulcanico Gigi Troso. La finale del Campionato italiano assoluto si sarebbe giocata a Martina Franca e avrebbe partecipato, tra gli altri, Fabiano Caruana, astro nascente dello scacchismo mondiale, nato a Miami, in Florida, ma che aveva preso la cittadinanza italiana essendo figlio di siciliani emigrati negli States. Naturalmente non persi l’occasione di seguire dal vivo diverse partite e, quando non era possibile, tramite internet, visto che ormai la tecnologia rendeva possibile seguire tutti i tornei più importanti comodamente da casa. Ma non finì lì: l’anno successivo Martina fu confermata come sede della finale e questa volta, oltre a Caruana e agli altri migliori giocatori italiani, ci sarebbero stati anche i “nostri” Luca Shytaj e Pierluigi Piscopo (che in quell’occasione sfiorò il colpo grosso contro il favorito). Fui felicissimo, oltre che per loro, per il fatto che mi sembrò che questo fosse un riconoscimento a tutto lo scacchismo regionale. Ebbi inoltre la piccola soddisfazione di vincere, alla pari con Alessandro Granaldi, un semilampo organizzato di contorno all’evento principale. Entrambi questi tornei furono vinti da Fabiano Caruana che, confermando le aspettative, è poi diventato uno dei migliori giocatori mondiali, arrivando a sfidare per il titolo l’attuale Campione del mondo, Magnus Carlsen, che lo ha sconfitto nel 2018.

Nel frattempo era successo qualcosa che sconvolse il mondo degli scacchi: Bobby Fischer era morto in Islanda, la terra che l’aveva accolto dopo mille peripezie e che, tanti anni prima, lo aveva visto coronare il suo sogno di diventare Campione del mondo. La sua tormentata vita durò 64 anni: uno per ogni casella della scacchiera. Ci furono amici che mi telefonarono come se fosse morto un parente.

 

Da sinistra a destra: Sergio Limongelli, Gigi Delfino, Stefano Albano, Gerardo Ariete,
Giuseppe Indelicati, Roberto Campanile, Pierluigi Piscopo, Alessandro Granaldi.


Negli anni successivi le mie partecipazioni ai tornei si fecero sempre meno frequenti: il peggioramento progressivo delle condizioni dei miei genitori mi sottraeva la necessaria serenità e mi spostai verso la corsa, che aveva al contrario la capacità di liberarmi la mente. L’interruzione della pratica agonistica non significò però l’abbandono di questa passione che, come chi ha avuto la pazienza di leggere avrà capito, mi ha accompagnato per buona parte della mia vita; come ho detto, ormai è possibile seguire da casa tutti gli eventi più importanti, con tanto di commento in diretta da parte di esperti e chissà che prima o poi non torni a riaffacciarmi alle sale di gioco. Spero di non avervi annoiato troppo, so di aver rischiato di essere autocelebrativo, ma da un po’ di tempo accarezzavo l’idea di raccontare la storia del mio amore per il magico mondo delle 64 caselle e se anche uno solo dovesse essersi sentito stimolato a incominciare a giocare oppure a riprendere ne sarò felice.

 

 

Il gioco online

Benché, a causa della mia veneranda età, mi consideri (sia per forma mentis che per il cuore) un uomo del XX secolo, è da più di vent’anni che vivo nel III millennio e così sono stato costretto anch’io, come tutti, a confrontarmi con la modernità. Per farla breve, nella mia attività scacchistica ho dovuto confrontarmi con l’impatto dell’elettronica, come ho già raccontato. Ma, come tutti sanno, l’arrivo dei PC è stata solo la “prima ondata dell’assalto”, poi è arrivata la diffusione capillare di internet, gli smartphone, ecc. ecc. In breve, il gioco online è diventato sempre più diffuso e la pandemia l’ha reso nell’ultimo anno quasi la sola forma di gioco praticato.

Pur non avendo mai passato troppo tempo a giocare in internet, non ho potuto evitare di conformarmi ai tempi. La prima cosa che caratterizza questa forma di gioco è la velocità: così come siamo fulminei nel mandarci messaggi tanto da trascurare spesso la grammatica (con grande vantaggio di chi non la conosce, infatti non si sa mai se gli errori sono dovuti alla fretta o all’ignoranza), allo stesso modo online si gioca quasi esclusivamente “lampo”, e persino 5 minuti a testa sembrano troppi, molti matti giocano a 1 (uno!) minuto a testa (il famigerato bullett - proiettile). È possibile giocare con cadenze più lente, e alcuni lo fanno, ma non lo so, a me non risulta proprio fattibile. Questo naturalmente è deleterio dal punto di vista tecnico, e così non ho mai ecceduto in questa pratica, evitando poi quasi del tutto i tornei online.

Nell’ultimo anno però siamo stati chiusi spesso in casa e così ho partecipato a un paio di tornei: un Campionato regionale a squadre e una sfida amichevole Corsica-Puglia, proprio due giorni fa. L’ideatore e animatore di questa originale sfida è stato il Maestro Internazionale Pierluigi Piscopo, che ha svolto il ruolo di istruttore scacchistico per anni nella bellissima isola ed è così diventato il “ponte” tra queste regioni. Pierluigi è oltretutto un carissimo amico (ho già avuto modo di raccontare di essere stato testimone dei suoi primi passi scacchistici) e così non ho avuto remore nel partecipare a quest’incontro. L’esperienza è stata traumatica: per la prima volta mi sono imbattuto nel concetto di “tempo di durata di un torneo” (con tanto di countdown cronometrico), cosa abbastanza astratta fin quando non mi sono reso conto che il countdown è scaduto pochi secondi prima che dessi lo scacco matto nell’ultima partita (due mosse prima del matto) e così, pur avendo vinto 6 partite, me ne sono state conteggiate 5! Un’altra cosa comica di questa sfida è che, avendo avuto problemi di connessione col PC (tanto da perdere l’unica partita per non essere riuscito a collegarmi in tempo) ho finito per giocare con lo smartphone tenendo contemporaneamente acceso il PC, diventando così spettatore di me stesso. Solo alla fine mi sono reso conto dello strano regolamento per cui i concorrenti giocavano un numero diverso di partite, in dipendenza della velocità con cui terminavano. Una vera assurdità, agli occhi di un vecchio scacchista del XX secolo come me! Sono però contento di essere stato in contatto con la comunità scacchistica, di cui faccio parte ormai da mezzo secolo, ma credo che sia più facile che torni a giocare a tavolino, che ripetere un’esperienza del genere!

Ah! Dimenticavo! Purtroppo abbiamo perso. Tutta colpa di Pierluigi, è troppo bravo anche come istruttore, oltre che come giocatore!

Riepilogo delle partite*

 *nota: il riepilogo delle partite lo trovate sul book allegato insieme agli schemi esplicativi delle stesse.

 

Sommario

 





Prefazione ............................................................................................................. 4

Difficoltà tecniche .................................................................................................. 5

Un vecchio scacchista ............................................................................................ 5

Il Circolo di via Falanto .......................................................................................... 6

Le origini ............................................................................................................. 6

Un libro “memorabile” .......................................................................................... 7

I tornei di Bari ..................................................................................................... 8

Un torneo all’anno ............................................................................................... 9

Incontri ravvicinati (prima parte) ......................................................................... 10

I tornei magistrali .............................................................................................. 11

I tornei semilampo ............................................................................................ 13

Il gioco per corrispondenza ............................................................................... 14

Incontri ravvicinati (seconda parte) .................................................................... 15

Il cerchio della vita ........................................................................................... 16

Un sogno si avvera ........................................................................................... 17

I tornei a squadre ............................................................................................ 19

I giocatori slavi ................................................................................................ 20

È fortissimo, ma il suo gioco è un po’ …artificiale ............................................... 21

Gli anni più recenti .......................................................................................... 22

Il gioco online  ................................................................................................ 23

Riepilogo delle partite ..................................................................................... 25

 

 

 

 

© Tutti i diritti riservati

Testo: Giuseppe Indelicati

Prefazione: Alessandro Granaldi

Copertina: Mattia Renna

Editing: Alessandra Corallo, Luigi De Rosa

 

 

 

Finito di stampare 2022